Si voterà il 4 marzo, ma cosa dicono oggi i sondaggi?
Il crollo del partito di Matteo Renzi per ora ci dà una sola certezza: la strada del Pd è sempre più in salita. Lo scenario politico e le intenzioni di voto a tre mesi dalle elezioni
Si va verso la conclusione di un 2017 ricco di eventi. Forse le cose sono andate diversamente da come molti immaginavano dodici mesi fa, ma di certo il quadro nell’ultimo anno è decisamente cambiato. E, a testimoniare questi cambiamenti, ci sono proprio i sondaggi.
Nel corso di quest’anno abbiamo raccolto e catalogato, per calcolare la nostra Supermedia, ben 212 sondaggi nazionali. In media, quasi 18 al mese, e circa 4 ogni settimana. E la loro storia, ricostruita attraverso l’andamento delle nostre Supermedie settimanali, ci consente di “leggere” meglio gli avvenimenti politici di questo 2017.
Cosa dicono i sondaggi questa settimana
Cominciamo dall’ultimo dato: la Supermedia di questa settimana – che prende in considerazione le rilevazioni di 8 diversi istituti, effettuate negli ultimi 15 giorni – non si discosta molto da quella della settimana precedente (anche perché nei giorni delle feste natalizie i sondaggisti si sono presi una pausa). Più che con i dati visti la settimana scorsa o con quelli di un mese fa, è interessante fare un confronto con i valori di inizio anno, per fare prima di tutto il punto, un bilancio “secco” di vincitori e sconfitti del 2017.
Dove sono andati questi voti? Essenzialmente in due direzioni: da un lato, verso Forza Italia, che chiude il 2017 con il miglior dato annuale, un 15,8% che vuol dire oltre 3 punti in più rispetto a inizio anno, un aumento avvenuto non a scapito degli alleati di centrodestra (Lega e Fratelli d’Italia) bensì contestualmente a una loro crescita, seppur più contenuta; dall’altro verso sinistra, con la scissione dei bersaniani che prima hanno formato Articolo 1 – MDP e poi si sono uniti a Sinistra Italiana e ad altre formazioni nel nuovo soggetto guidato da Pietro Grasso, Liberi e Uguali: se a inizio anno SI stentava a raggiungere il 3 per cento, oggi LeU vale quasi il 7, più del doppio. Sostanzialmente fermo è rimasto invece il Movimento 5 stelle, partito intorno al 28,2% e arrivato a fine anno con un saldo leggermente negativo (meno 0,7 per cento).
Da dove arriva il calo del Partito democratico?
L’anno è iniziato nel segno di una “stabilità precaria”: dopo il terremoto di fine 2016 (la sconfitta di Renzi al referendum costituzionale e le conseguenti dimissioni, con l’insediamento del governo Gentiloni) il PD si è mantenuto per un po’ sopra il 30%, seguito a breve distanza dal M5S. il centrodestra sembrava tagliato fuori dai giochi, anche perché fino alla sentenza della Consulta (fine gennaio) era ancora in vigore l’Italicum, che prevedeva un ballottaggio tra le prime due liste per il premio di maggioranza alla Camera. Dopo quella sentenza, la scelta di Renzi di convocare il congresso e di ripresentarsi perla segreteria causa la scissione: Bersani, Speranza e altri lasciano il PD, nasce MDP (che nei primi tempi sfiorerà il 4-5%) e inizia il primo, forte calo dei democratici, che scendono a sfiorare il 25%. Poi però si entra in periodo congressuale e il PD risale, fino a tornare testa a testa con il M5S a maggio, quando Renzi è appena stato (ri)eletto segretario nonostante un fortissimo calo della partecipazione della “base” alle primarie.
Tutto cambia con le amministrative di giugno
Si arriva così a giugno, e ad un altro, importante momento chiave: le amministrative, che vedono una netta vittoria dei candidati sostenuti da coalizioni di centrodestra. Non solo il PD ma anche il M5S accusano il colpo, e iniziano pian piano a calare mentre riprendono quota i partiti di centrodestra, con la Lega di Salvini che sembra candidarsi a un ruolo di leadership nella coalizione sfiorando il 15%. Seguono mesi di “calma piatta”, con la legislatura che si trascina più per le difficoltà di approvare una nuova legge elettorale (necessaria per andare al voto) che per un’effettiva volontà di arrivare alla scadenza naturale. Poi, però, arrivano le elezioni siciliane.
Una cosa è certa: per il Pd la strada è dura
E, come già nel 2012, le regionali in Sicilia causano un piccolo “terremoto”: l’accordo Salvini-Berlusconi regge, la coalizione di centrodestra vince con Musumeci e il M5S, che alcuni davano per grande favorito, ne esce sconfitto. La “nomina” di Di Maio a candidato premier sembra non aver sortito alcun effetto. Ma la sconfitta più grande è quella del PD, il cui candidato arriva terzo, lontanissimo dalla vetta: la disfatta del centrosinistra è dovuta anche – ma non solo – alle divisioni. Sul piano nazionale sembra emergere un “nuovo bipolarismo” (confermato anche dalle elezioni municipali a Ostia): da un lato il centrodestra, dall’altro il M5S, con il PD relegato al ruolo di terzo incomodo.
Ancora due mesi ci separano dalle elezioni e tutto può ancora accadere (basta ricordare cos’è successo nel 2013), ma le ultime vicende sulle banche e sullo ius soli non sembrano aver invertito la rotta, anzi. Per il PD di Renzi (e Gentiloni) la strada si preannuncia tutta in salita.
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